Imparare con i libri o con le app?

19 Febbraio 2019

Tempo di lettura: 3 min.

Per costruire nuove esperienze educative in ambienti scolastici o extrascolastici e incentivare un uso creativo, costruttivo dei device quali tablet, smartphone, e-reader, consolle da parte di bambine e bambini, è necessario far conoscere gli alfabeti e i linguaggi potenziali e specifici di questi nuovi strumenti.

Il punto non è se è meglio leggere un libro cartaceo oppure utilizzare un’app: una esperienza non esclude l’altra, non sostituisce l’altra, ma, semmai, contribuiscono entrambe alla possibilità di ampliare e diversificare l’apprendimento di linguaggi e di modalità di costruzione di contenuti.

Con l’importante vantaggio, che si traduce anche in un diritto educativo, dell’accessibilità dei contenuti, delineando il principio inclusivo dell’educazione.

Questo significa che se non sono abile (non ancora o in maniera permanente o in maniera diversa) a “leggere”, a “scrivere” in maniera “tradizionale”, posso, comunque, navigare storie, contenuti, attraverso altre modalità, altri canali sensoriali visivi, uditivi, che nei device digitali sono sempre integrati.

In un panorama come quello attuale bisognerebbe superare l’idea che i media siano un pericolo da cui difendere i bambini, bensì considerarli una risorsa che va ben conosciuta e ben utilizzata. Una delle caratteristiche tipiche della generazione multimediale è l’autonomia nel percorso di conoscenza e di apprendimento.

I media offrono la possibilità di accedere a conoscenze e di attivare capacità intellettive, questi apprendimenti, a volte, si presentano come esperienze non organizzate in maniera sistematica e coerente, proprio perché, maggiormente sono il frutto di percorsi sviluppati attraverso prove ed errori; in questo forse si realizza il compito degli educatori, in generale, e dei genitori, in particolare, ossia nell’aiutare i bambini e i ragazzi a riflettere e problematizzare la loro esperienza.

A sostegno di ciò, sono numerose le ricerche che hanno dimostrato la diversità di atteggiamento rispetto alla tipologie di schermi: quelli più “tradizionali” quali televisione, cinema sono maggiormente passivizzanti rispetto ai nuovi, caratterizzati da intenzionalità interattiva.

Come afferma Henry Jenkins, direttore del programma di studi comparati dei media al MIT, piuttosto che partire dall’assunto sul quale ci stiamo soffermando, ovvero cosa sta facendo il contenuto dei media ai bambini, dovremmo domandarci cosa stanno facendo i nostri bambini con i media che consumano.

La multimedialità – di cui i nuovi contesti digitali sono strutturalmente caratterizzati – si presenta come una possibile dimensione del comunicare, dell’agire degli uomini, delle donne e dei bambini contemporanei: è l’utilizzo integrato di più mezzi di comunicazione e più codici linguistici. In realtà l’ambiente multimediale appartiene all’esperienza d’apprendimento ben prima dell’arrivo della cultura del digitale: “i bambini crescono immersi nella sonorità della lingua, gran parte dei testi ricorrono a disegni e figure (…), basti ricordare che si apprende a leggere per immagini” e inoltre si può aggiungere l’ascolto della voce ad un testo scritto recitato, si può aggiungere movimento ad un’azione letta (lo spazio del teatro!).

Il passaggio successivo, dunque, è in un ambiente digitale in cui la multimedialità diventa il punto d’incontro delle risorse culturali a disposizione dell’individuo (adulto e bambino) e, a tal fine:

“un prodotto multimediale dovrebbe risultare ricco, profondo e mobile, cioè avvincente come un film o un buon prodotto tv, sistematico come un libro, interattivo come un videogioco.”
R. Maragliano, Tre ipertesti su multimedialità e formazione

Non c’è contrapposizione tra “nuovo e vecchio”, tra modalità tradizionali di leggere, giocare, narrare, esplorare, ma c’è un ampliamento, un’integrazione: i bambini di oggi possono essere potenzialmente lettori ibridi, possono navigare in un mare più diversificato di tecnologie e linguaggi, non solo d’inchiostro.

“Il bambino (ogni bambino, oggi, nel nostro villaggio) fa esperienza e conoscenza di sé, dell’altro, del mondo con un approccio che non è improprio definire “multimediale” […] Il bambino è un essere multimediale perché la logica di cui si serve per conoscere e conoscersi e per entrare in relazione con i suoi simili (anche con gli adulti, che però sovente rispondono in modo distonico) poggia sulla collaborazione-integrazione di un’ampia varietà di mezzi (telefono, radio, registratore, televisione, giornaletto, libro, album delle figurine, giocattolo, ecc.) all’interno dei quali vengono meno le tradizionali gerarchie di cognizione e d’uso. Il suo modo di essere multimediale è assolutamente naturale.
R. Maragliano, Esseri multimediali

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